mercoledì 11 aprile 2012

paolo carletti/ re-do.it/ Finwhale



Finwhale è il primo oggetto della serie LO (lighting objects) col quale mi sono misurato. Primo di una serie campione di attrezzi trovati in pessime condizioni e lasciati al loro destino di rifiuto.

Cominciai dalla parte in ferro del badile, pulendolo del cemento e della sporcizia di cui era incrostato.

Mi sfiorava e piaceva l'idea di lasciarlo così com'era, ma ragioni tecnico-conservative non me lo consentivano. Peccato, la patina che il degrado gli aveva tatuato sopra sarebbe potuta risultare interessante. Motivo per cui ne bloccai le ossidazioni solo dopo averne rimosso gli eccessi, con levigatore e flessibile da taglio, strumenti a me congeniali.


Quindi passai al manico, talmante rovinato dai tarli da non poterne che ricavare segatura. Così la rinuncia e la decisione: manico nuovo, lavorato non per scimiottare l'originale, cosa che non mi importava affatto, ma per integrarlo a modo mio con la parte in ferro. Tanto che lo feci bianco, a contrasto massimo possibile.

Già da un po pensavo alla tecnologia LED, alle possibilità ma anche ai limiti da essa portati. Mi piaceva l'idea che un oggetto del genere potesse illuminarsi senza tanti orpelli, quasi di luce propria. E che, all'occorrenza, illuminasse di sè l'ambiente circostante. Dopo innumerevoli sessioni di prova arrivai ad una conclusione: i led array di potenza mi garantivano un ingombro limitato e la possibilità di essere all'ocorrenza noscosti, bassi consumi, tensione innocua a 12 volts, impatto ambientale trascurabile... ma non era affatto facile trovare e sposare gli angoli di luce ottimali con la scomparsa del circuito all'interno dell'oggetto. Per non parlare del problema della dissipazione calore da parte dei led stessi, che andava risolto.



Mi ci volle parecchio tempo per mettere a posto tutti i tasselli del mosaico, così, nei momenti di distrazione, cominciavo a pensare anche all'intervento materico sulla pala. Che poi attuai, usando resine, sabbie e pigmento blu oltremare puro. Il risultato ottenuto è quello riportato nelle foto.

Il nome Finwhale gli viene dalla luce-ombra proiettata a parete, una coda di balena appunto, che si ingrandisce a seconda di quanto l'oggetto venga posizionato vicino o lontano dal muro. I led sono alloggiati in una sezione di tubo di rame, saldato a una placca aderente al retro pala opportunamente sagomata, sì da sfruttare il contatto tra metalli e garantire maggiore dissipazione. Il filo scorre sul retro manico inserito in un piccolo solco fresato a mano. Dimmer telecomandato (variatore di luce), alimentatore 12 volts, interruttore e presa filo concludono la sequenza dei cablaggi.
Riassumendo Finwhale è composto da parti interamente recuperate: pala e componenti in rame (supporto led, dissipazione, appoggio muro, clip varie). E da parti nuove: manico, chiodo di fermo, tecnologia led e cablaggi.